LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente Ordinanza interlocutoria sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30363/'11) proposto da: Toppino Vincenzo (codice fiscale: TPP VCN 40E14 C173L), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Alessandra Giovannetti e Marco Weigmann ed elettivamente domiciliato presso lo studio della prima, in Roma, alla v. Bissolati, n. 76; ricorrente; Contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso «ex lege» dall'Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; controricorrente; e Archivio Notarile Distrettuale di Cuneo, in persona del Conservatore capo pro-tempore; Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino; Procuratore Generale presso la Corte di cassazione e Consiglio Notarile dei Distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovi' e Saluzzo, in persona del Presidente pro-tempore; intimati. Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 123/2010, depositata il 15 dicembre 2010 (e non notificata); Udita la relazione della causa svolta nell'udienza camerale del 21 settembre 2012 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato; udito l'Avv. Marco Weigmann per il ricorrente; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Gianfranco Servello, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Osservato in fatto Con ricorso depositato il 7 maggio 2010 e ritualmente notificato il 9 giugno 2010 unitamente al pedissequo decreto presidenziale, il notaio dott. Vincenzo Toppino propose (ai sensi dell'art. 158 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come sostituito dall'art. 45 del d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249) reclamo - riferito a due motivi - avverso la decisione depositata il 18 gennaio 2010 con la quale la Commissione regionale di disciplina gli aveva irrogato la sanzione pecuniaria di € 2.500,00 in ordine alla violazione di cui all'art. 28 della legge notarile, in essa assorbita quella ulteriormente contestatagli di cui all'art. 48 della medesima legge, ritenendo la sussistenza della prima consistita nell'aver ricevuto, in data 10 luglio 2007, due procure generali nelle quali era stata inserita la clausola che prevedeva la facolta' del rappresentante di «stipulare convenzioni matrimoniali, ed in particolare convenzioni di separazioni dei beni, di comunioni convenzionali, di costituzione di fondi patrimoniali, e le medesime convenzioni modificare». Nella costituzione dei soli appellati Ministero della Giustizia ed Archivio notarile distrettuale di Cuneo (che formulavano, a loro volta, reclamo in via incidentale) e con l'intervento del Procuratore generale competente, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 123 del 2010 (depositata il 15 dicembre 2010), rigettava entrambe le impugnazioni e confermava la gravata decisione. A sostegno dell'adottata sentenza la Corte territoriale, dopo aver ricordato il tenore delle due procure, rilevava l'infondatezza del primo motivo di gravame sostenendo che le predette procure conferivano, per la loro smisurata ampiezza, al rappresentante la scelta che l'ordinamento, e prima ancora il contesto socio-economico, attribuiscono in via esclusiva a ciascun coniuge e, per cio' stesso, erano da qualificarsi nulle per l'impossibilita' del loro oggetto, ai sensi degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c., in tal modo rimanendo configurato l'illecito contemplato dall'art. 28 della legge notarile. Inoltre, la Corte piemontese ravvisava anche l'infondatezza della seconda doglianza (riferita alla manifesta contrarieta' all'ordine pubblico) basata sull'argomentazione che non si era formato un orientamento interpretativo consolidato contrario all'ammissibilita' della rappresentanza volontaria in materia di convenzioni matrimoniali. La suddetta Corte di appello respingeva, altresi', il gravame incidentale poiche' con esso non era stata proposta alcuna domanda in ordine alla sanzione applicabile e, in ogni caso, la sua infondatezza era riconducibile alla circostanza che, nella fattispecie, non poteva dirsi configurato il concorso formale di fattispecie di incolpazione, dal momento che, essendo stato il negozio gia' considerato nullo nella prospettiva di cui all'art. 28 della legge notarile, non si sarebbe potuto anche integrare l'illecito previsto dall'art. 48 della stessa legge, non potendosi predicare l'applicabilita' di una determinata forma giuridica per un negozio giuridicamente nullo. Avverso la suddetta sentenza (non notificata) ha proposto (ai sensi dell'art. 158-ter della legge n. 89 del 1913, come inserito dall'art. 46 del d.lgs. n. 249 del 2006) ricorso per cassazione (consegnato per la notificazione il 15 dicembre 2011) il notaio Vincenzo Toppino riferito a tre motivi, avverso il quale si e' costituito in questa fase, con controricorso, solo l'intimato Ministero della Giustizia. I difensori del ricorrente e del Ministero controricorrente hanno rispettivamente depositato (il 4 settembre ed il 13 settembre 2012 e, percio', fuori termine rispetto all'udienza camerale fissata per il 21 settembre 2012) memorie difensive ex art. 378 c.p.c.. Ritenuto in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente ha, in via preliminare, dedotto l'intervenuta prescrizione dell'illecito disciplinare, prospettando, in ogni caso, la non manifesta infondatezza dell'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 146 della legge 16 febbraio 193, n. 89, come sostituito dall'art. 29 del d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249, per supposto eccesso di delega della nuova previsione rispetto alla legge delega 28 novembre 2005, n. 246. 2. Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - per assunta violazione degli artt. 162 e 167 del Codice civile, nonche' degli artt. 1343, 1346 e 1418 del Codice civile. 3. Con il terzo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione dell'art. 28, comma 1°, della legge n. 89 del 193 (ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) nonche' la carenza ed erroneita' della motivazione (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) della sentenza impugnata. 4. Rileva il collegio che, prima di esaminare i richiamati motivi formulati nell'interesse del ricorrente, occorre affrontare, in linea pregiudiziale, due questioni preliminari, l'una attinente all'individuazione del tipo di rito da adottare nel giudizio di cassazione con riferimento ai ricorsi in materia disciplinare notarile e l'altra riguardante l'eccezione di intempestivita' del ricorso avanzata dai controricorrente Ministero della Giustizia sul presupposto che, nella specie, si sarebbe dovuto ritenere applicabile il disposto dell'art. 327, comma 1, c.p.c., cosi' come novellato dall'art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha ridotto da un anno a sei mesi il c.d. termine lungo per la proposizione delle impugnazioni, che, nella specie, non era stato rispettato. 5. Con riferimento alla prima pregiudiziale problematica (che investe direttamente la valutazione sulla legittimita' del rito instaurato in questa sede e la conseguente legittimazione della II Sezione ordinaria ad esaminare i motivi del ricorso) il collegio osserva che, secondo l'indirizzo espresso, in un primo momento, dalla giurisprudenza della terza Sezione di questa Corte (cfr. Cass. n. 6937 del 2010, ord., e Cass. n. 17704 del 2010), al procedimento in cessazione relativo ad un giudizio disciplinare notarile si applica rito camerale, sia nel regime anteriore al d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249 che in quello successivo, specificandosi che in esso non trova ingresso l'art. 380-bis c.p.c., che riguarda le ipotesi in cui rito camerale sia solo eventuale, ma si applica, invece, l'art. 380-ter c.p.c., che, sia pure con riguardo ai regolamenti di competenza e di giurisdizione, disciplina le modalita' del rito camerale nei casi di trattazione necessaria in camera di consiglio, con la conseguenza che, nel procedimento in questione, il presidente puo' sia nominare un relatore per l'eventuale relazione, sia richiedere al P.M. conclusioni scritte. Ancor piu' recentemente la stessa Sezione (v. Cass. n. 4632 del 2012 e Cass. n. 7484 del 2012) ha inteso, tuttavia, ulteriormente precisare che ricorso per cessazione in tema di procedimento disciplinare a carico dei notai, a seguito della legge 18 giugno 2009, n. 69, e' affidato all'apposita sezione prevista dall'art. 376 c.p.c., il cui presidente scegliera' se procedere ai sensi degli artt. 380-bis o 380-ter c.p.c.. Secondo quest'ultimo indirizzo ermeneutico si e' ritenuto che, sulla scorta dell'assorbente e generale previsione di cui all'art. 376, comma 1, c.p.c. (come sostituito dall'art. 47, comma 1, lett. b), della legge n. 69 del 2009 ed applicabile per le impugnazioni in cessazione avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 4 luglio 2009), per tutti i ricorsi per cassazione la sesta Sezione di questa Corte deve verificare se ricorrano le ipotesi di cui ai nn. 1 e 5 dell'art. 375 c.p.c. e che tale passaggio risulta necessario anche per il regolamento di competenza, il quale, percio', quale procedimento a decisione necessaria in camera di consiglio, e' assegnato sempre alla sesta Sezione. Inoltre, dall'interpretazione dell'ultimo inciso dello stesso comma 1 del citato art. 376 c.p.c. (alla stregua del quale, qualora la sesta Sezione non definisca il giudizio, gli atti sono rimessi al primo Presidente, che procede all'assegnazione alle sezioni semplici), l'orientamento giurisprudenziale in discorso ricava che il suo disposto, oltre a ricomprendere l'ipotesi in cui ricorso venga definito per la sussistenza di uno dei casi di cui al n. 1 o al n. 5 dell'art. 375 c.p.c., include anche le ipotesi in cui non ricorra l'eventualita' appena indicata e, cio' malgrado, la definizione possa avvenire comunque da parte della stessa Sezione. Al riguardo questa ipotesi viene ricondotta a quella in cui la decisione debba avvenire indispensabilmente in camera di consiglio perche' il procedimento e' a decisione necessaria camerate e nel codice di rito civile essa e' prevista dall'art. 380-ter con riferimento al regolamento di competenza. Sulla scorta di questa impostazione di base la piu' recente giurisprudenza della terza Sezione ha desunto il principio secondo cui il procedimento in camera di consiglio sia ai sensi dell'art. 380-ter c.p.c., sia ai sensi dell'art. 380-bis per le ipotesi di cui ai nn. 1 e 5 dell'art. 375 c.p.c. non risulterebbe in pratica mai applicabile dalla sezione semplice diversa dalla sesta Sezione. In altri termini, con la disciplina relativa al processo di cassazione introdotta dalla legge n. 69 del 2009, il legislatore avrebbe inteso restringere l'applicazione della decisione in camera di consiglio necessaria (non di attribuzione delle Sezioni unite) esclusivamente alla sesta Sezione. Inoltre lo stesso indirizzo giurisprudenziale ha rilevato che il nuovo disposto dell'art. 158-ter, comma 4, della legge n. 89 del 1913 (come inserito per effetto dell'art. 46 del d.lgs. n. 249 del 2006), il quale stabilisce, con riferimento al giudizio di legittimita' correlato al procedimento disciplinare notarile, che «la Corte di cassazione pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti», e' pienamente compatibile sia con il modello dell'art. 380-ter c.p.c. sia con il modello dell'art. 380-bis (come gia' evidenziato con le richiamate Cass. n. 6935 e n. 17704 del 2010), con la conseguenza che anche siffatto procedimento dovrebbe spettare sempre alla sesta Sezione. Si e' avuto modo, inoltre, di aggiungere che la diversa opzione ermeneutica di considerare sottratto ai regime degli artt. 380-bis e 380-ter c.p.c. e a quello della pubblica udienza il giudizio di cassazione sul procedimento notarile sarebbe molto meno garantiste per il notaio, considerandosi che egli non solo non potrebbe depositare memorie scritte, ma nemmeno potrebbe conoscere preventivamente l'avviso del P.M., come gli e' consentito solo nello schema dell'art. 380-ter c.p.c.. Alla luce del ricordato percorso argomentativo il piu' recente orientamento della terza Sezione ha concluso nel senso che, dopo la legge n. 69 del 2009, procedimento di decisione del ricorso in cessazione in materia disciplinare notarile e' affidato alla decisione dell'apposita sezione di cui all'art. 376 c.p.c. e puo' aver luogo o con il procedimento previsto dall'art. 380-bis, nei casi indicati ai nn. 1 e 5 dell'art. 375 c.p.c., o con il procedimento di cui all'art. 380-ter c.p.c., mediante la scelta del presidente di detta sezione evocato nel medesimo art. 380-ter. La richiamata ricostruzione interpretativa operata dalla giurisprudenza della terza Sezione non appare, a questo collegio, convincente. Infatti la riportata opzione ermeneutica parte dal presupposto della generale applicabilita' dell'art. 376 c.p.c. in relazione a tutti i ricorsi per cassazione e, in virtu' della necessaria trattazione del giudizio di legittimita' in materia di procedimento disciplinare notarile nelle forme della camera di consiglio, perviene al risultato della conseguente definibilita' dei ricorsi in questo ambito o ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. - qualora ricorrano le condizioni contemplate dai nn. 1 e 5 dell'art. 375 c.p.c. - oppure in virtu' dell'art. 380-ter c.p.c. nei rimanenti casi su disposizione del Presidente della sesta Sezione. Tuttavia, questa impostazione elide l'aspetto essenziale della completa autonomia e specialita' della disciplina del giudizio di cessazione con riferimento al procedimento di cui trattasi, la quale e' contenuta nell'art. 158-ter della c.d. legge notarile n. 89 del 1913 (come introdotto dall'art. 46 del d.lgs. n. 249 del 2006), che non opera alcun rinvio (anche solo sotto il profilo della eventuale preventiva valutazione di compatibilita') alle norme generali del codice di rito, connotandosi, pertanto, come una disposizione afferente ad una regolamentazione propria e specifica dedicata al procedimento in questione per la fase relativa al giudizio di legittimita'. Il citato art. 158-ter, oltre a prevedere la proponibilita' del ricorso per cessazione nei soli casi contemplati nell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., nel rispetto del termine breve di sessanta giorni dalla notificazione della decisione impugnata ovvero, in difetto di tale notifica, di un anno dal deposito della decisione stessa, stabilisce, al comma 4, che «la Corte di cassazione pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti». Da cio' si ricava che, essendo (in mancanza di altre previsioni) indiscussa l'applicabilita' alla fase introduttiva degli artt. 360-bis, 365, 366 (mentre l'art. 366-bis c.p.c risulta ora abrogato), 369, 370, 371 e 372 (salva l'applicazione dell'art. 373 c.p.c. ai sensi del comma 3 del medesimo art. 158-ter), le fasi della trattazione e della decisione hanno ricevuto una specifica disciplina, imponendosi alla Corte di legittimita' di garantire il pieno contraddittorio delle parti, ossia procedendosi alla loro preventiva audizione in camera di consiglio, per poi pervenire alla definizione del ricorso (o, eventualmente, dei ricorsi, qualora ne venissero proposti anche in forma incidentale) con sentenza (e non ordinanza). Del resto questa regolamentazione e' stata confermata anche dall'art. 26, comma 6, del recente d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (relativo alla c.d. semplificazione dei riti), il quale (per i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso d.lgs.) ha assoggettato (riconfermandone il carattere di specialita') le controversie in materia di impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai al rito sommario di cognizione (quale rito scelto tra i tre riti paradigmatici individuati dal legislatore), ribadendo che il giudizio di legittimita' deve essere definito con sentenza in camera di consiglio, dopo aver sentito le parti. Appare, percio', evidente che il giudizio di cassazione, con riferimento al procedimento in discorso, segue un proprio rito camerale (da instaurare direttamente dopo la proposizione del ricorso), nel quale deve essere garantita, in forme agili e sollecite, l'esplicazione piena ed immediata del contraddittorio (gia' tutelata nella fase introduttiva) nella fase di trattazione mediante un'attivita' equiparabile a quella della discussione orale che trova il suo sbocco, nei momento decisorio, in un provvedimento che deve assumere necessariamente (sulla scorta della presumibile ratio considerata dal legislatore ricondotta alla complessita' e delicatezza delle questioni giuridiche da esaminare) la forma della sentenza, ovvero del tipo di provvedimento, che deve essere caratterizzato dall'osservanza degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e che implica, percio', l'adozione di una decisione sempre adeguatamente argomentata e completamente esaustiva delle ragioni di doglianza dedotte dalle parti. Alla luce di queste riflessioni non sembra a questo collegio, proprio in virtu' della specialita' della forma di trattazione e della modalita' decisoria previste, che possa trovare applicazione al procedimento in questione (per un altro esempio di procedimento camerate autonomo in sede di legittimita' v., ad es., Cass., sez. I, n. 17576 del 2010, ord., in tema di impugnazione nella materia di riconoscimento e revoca dello «status» di rifugiato) la disciplina di cui all'art. 380-bis c.p.c. (che presuppone l'assegnazione preventiva del ricorso ai sensi dell'art. 376 c.p.c.), la quale e' improntata all'osservanza di un meccanismo che impone (qualora ne sussistano i soli presupposti in relazione al disposto di cui all'art. 375, nn. 1 e 5, c.p.c.) la preventiva predisposizione di una relazione, contenente le ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia, da sottoporre all'esame delle parti in via soltanto successiva, e che puo' sfociare in una decisione camerale nella forma dell'ordinanza (e non della sentenza), senza che rimanga esclusa l'eventualita' della necessita' della rimessione in pubblica udienza (modalita', invece, non contemplata dall'art. 158-ter della legge n. 89 del 1913); ne', a maggior ragione, si ritiene che sia «analogicamente» applicabile disposto dell'art. 380-ter c.p.c., con riferimento alla decisione sulle istanze di regolamento di competenza, il quale si prospetta come una norma processuale rivolta alla soia trattazione dei procedimenti di regolamento (di competenza e di giurisdizione) con la previsione di una procedura a definizione necessariamente «cameralizzata» (previa acquisizione delle conclusioni del P.M.), ma che si conclude sempre con l'adozione della forma dell'ordinanza e, soprattutto, con riguardo ai regolamenti di competenza, non contempla (riconoscendola limitatamente ai soli regolamenti di giurisdizione) la preventiva audizione delle parti, che e', invece, una connotazione ineliminabile (ancorche' rimessa alla facolta' della parti) del procedimento di cui al citato art. 158 ter, il quale deve essere, in ogni caso, definito con sentenza. Alla stregua delle rappresentate ragioni e rientrando il ricorso «de quo» - ai sensi dell'art. 54 del d.lgs. n. 249 del 2006 - nell'alveo di applicabilita' della disciplina di cui al citato nuovo art. 158-ter della legge n. 89 del 1913 (essendo con lo stesso stata impugnata una sentenza relativa ad un procedimento instaurato successivamente al 31 maggio 2007 e, precisamente l'8 maggio 2009), deve ritenersi che esso sia stato ritualmente incardinato presso questa Sezione per la conseguente trattazione camerale e la correlata decisione. 6. Chiarito quanto innanzi, si puo' passare alla valutazione dell'altra riportata eccezione pregiudiziale, avanzata dal controricorrente Ministero della Giustizia, di assunta inammissibilita' del ricorso per intempestivita' rispetto alla inosservanza del termine semestrale cosi' come previsto dall'art. 327, comma 1, c.p.c., in tal senso novellato dall'art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69. Rileva il collegio che detta eccezione e' infondata dal momento che, nella fattispecie, il comma 2 del citato art. 158-ter della legge n. 89 del 1913 (come introdotto dall'art. 46 del d.lgs. n. 249 del 2006), applicabile appunto «ratione temporis», prevede che, in difetto della notificazione della sentenza impugnata, il ricorso per cassazione deve essere proposto nel termine di un anno dal deposito della predetta sentenza, con cio' contemplando una disciplina «ad hoc» per la materia dei procedimenti disciplinari notarili, la cui specialita', percio', non puo' ritenersi (anche in difetto della previsione di specifiche disposizioni contrarie) derogata dalla sopravvenuta previsione del novellato art. 327, comma 1, c.p.c., applicabile, invece, in generale, ove non diversamente disposto. In altre parole, i termini per la proposizione del ricorso in cassazione erano autonomamente disciplinati dalla legge speciale in senso proprio e a tale regolamentazione si e' conformato il ricorrente nel caso di specie, poiche', a fronte dell'intervenuta pubblicazione della sentenza impugnata risalente al 15 dicembre 2010, ha notificato il ricorso il 14 dicembre 2011 e, quindi, entro l'anno (senza, peraltro, nemmeno considerare il periodo di sospensione feriale, comunque applicabile). E la riprova della correttezza di questa impostazione ermeneutica si desume dal fatto che il legislatore, solo successivamente, con l'art. 26 del d.lgs. n. 150 del 2011 (ed applicabile ai sensi dell'art. 36 dello stesso d.lgs. ai procedimenti instaurati successivamente alla data della sua entrata in vigore), ha adottato una nuova disciplina relativa ai termini per la formulazione del ricorso in cassazione nella materia disciplinare notarile, fissando quello breve in sessanta giorni dalla notifica della sentenza e quello c.d. lungo in sei mesi dalla pubblicazione della sentenza medesima, con cio' confermando la specialita' della regolamentazione processuale espressa in detta materia e, quindi, l'applicabilita', per i giudizi ricadenti nel vigore del citato art. 158-ter della c.d. legge notarile (abrogato, poi, dall'art. 34, comma 30, del richiamato d.lgs. n. 150 del 2011), della disciplina dei termini impugnatori ivi contemplati. 7. Superata la riportata eccezione di inammissibilita', va evidenziato che con il primo motivo il ricorrente ha chiesto a questa Corte, ritenuta la non manifesta infondatezza dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 146, commi 1 e 2, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come sostituito dall'art. 29 del d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249, in relazione all'art. 76 Cost., e ravvisata la rilevanza della proposta eccezione nel caso concreto, di demandare alla Corte costituzionale la relativa questione, invocando, in ogni caso, la prescrizione dell'infrazione ascrittagli (a cui era conseguita l'irrogazione della sanzione pecuniaria di € 2.500,00) e l'inapplicabilita' di qualsiasi interruzione del relativo termine, giungendosi alla declaratoria di improcedibilita' dell'azione disciplinare. 7.1. La prospettata questione di legittimita' costituzionale e' - ad avviso del collegio - rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata. L'art. 146, comma 1, della citata legge notarile n. 89 del 1913, nella sua originaria formulazione, prevedeva, per le violazioni disciplinari in essa indicate, un termine prescrizionale di quattro anni, senza contemplare alcuna ipotesi di interruzione ne' di sospensione della prescrizione, neppure per l'eventualita' in cui l'infrazione avesse rilievo penale. Alla stregua di tale dato normativo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 1766 del 1998; Cass. n. 23515 del 2004; Cass. n. 7088 del 2006 e Cass. n. 644 del 2007) era consolidata nel ritenere che la prescrizione dell'azione disciplinare contro i notai, come espressamente previsto dall'art. 146 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, si sarebbe compiuta per effetto del decorso di quattro anni dal giorno in cui l'infrazione era stata commessa «ancorche' vi fossero stati atti di procedura», e quindi non avrebbe potuto subire interruzione a causa del procedimento disciplinare, della contestazione delle violazioni, delle pronunce del Consiglio notarile o in sede giurisdizionale, salva la sospensione della prescrizione in conseguenza della pendenza del procedimento penale, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2 febbraio 1990. Si era anche statuito che detta prescrizione determinava l'improcedibilita' dell'azione disciplinare, operante «ex lege», e avrebbe dovuto essere rilevata anche d'ufficio ed in sede di legittimita', con conseguente cassazione senza rinvio delle sentenze impugnate, restando precluso ogni esame nel merito dei motivi di ricorso. Si e', inoltre, precisato che la disciplina dettata in materia dalla normativa sopravvenuta di cui al d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249, si applica - in virtu' della disposizione di cui al comma 2 dell'art. 54 dello stesso testo normativo - ai fatti commessi anteriormente alla data della sua entrata in vigore solo se quella modificata dell'art. 146 della predetta legge n. 89 del 1913 risulti piu' favorevole (cfr., a questo proposito, la citata Cass. n. 644 del 2007 nonche' la piu' recente Cass. n. 2031 del 2010, ord.). Con la legge 28 novembre 2005, n. 246 il Parlamento ebbe a delegare il Governo, con la disposizione di cui all'art. 7, ad adottare appositi decreti legislativi per il «riassetto normativo in materia di ordinamento del notariato e degli archivi notarili», stabilendo - al n. 3) della lett. e) del comma 1, riferito alla «revisione dell'ordinamento disciplinare» - che si sarebbe dovuto legiferare anche in ordine alla «previsione della sospensione della prescrizione in caso di procedimento penale e revisione dell'istituto della recidiva». In relazione a tale contenuto della legge delega il legislatore delegato, con l'art. 29 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249, ha completamente sostituito il precedente art. 146 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, con la previsione di quattro commi: - il primo comma contempla l'allungamento del termine di prescrizione da quattro a cinque anni, sempre decorrente dal giorno di commissione dell'infrazione (ovvero, per le infrazioni di cui all'art. 128, comma 3, commesse nel biennio, dal primo giorno dell'anno successivo); - il secondo comma prevede una disciplina dei tutto nuova in tema di interruzione della prescrizione, risultando stabilito che essa e', per l'appunto, interrotta dalla richiesta di apertura del procedimento disciplinare e dalle decisioni che applicano una sanzione disciplinare, aggiungendosi, altresi', che la prescrizione, se interrotta, ricomincia a decorrere dal giorno dell'interruzione, e con la precisazione che, in caso di esercizio di plurimi atti interruttivi, la prescrizione decorre nuovamente dall'ultimo di essi, prevedendosi, tuttavia, che, pur in caso di piu' interruzioni, non puo' essere superato il limite massimo di dieci anni; - con il terzo comma risulta sancito che, se per il fatto stabilito e' iniziato un procedimento penale, il decorso della prescrizione e' sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza penale; - con il quarto ed ultimo comma e' previsto che l'esecuzione della condanna alla sanzione disciplinare si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui il provvedimento e' divenuto esecutivo. Nell'articolato dello schema del decreto legislativo adottato dal Ministero della Giustizia in attuazione del richiamato art. 7 della legge n. 246 si affermava che, con l'art. 29, era stata appunto prevista la sostituzione dell'art. 146 della legge notarile relativo alla disciplina della prescrizione, evidenziandosi che, poiche' la predetta disposizione aveva dato luogo a gravi problemi applicativi, a causa della brevita' del termine e della mancata previsione di cause di interruzione, la nuova disposizione allungava questo termine e ne prevedeva espressamente l'interruzione e la sospensione, specificandosi che, in particolare, la previsione della sospensione della prescrizione in caso di azione penale era stata correlata alla previsione della sospensione dello stesso procedimento disciplinare, in pendenza di quello penale, in conformita' alla sentenza della Corte costituzionale 2 febbraio 1990, n. 40, che aveva dichiarato, sul punto, l'incostituzionalita' del precedente disposto del medesimo art. 146. Orbene, sulla scorta di questo quadro normativo e del rapporto intercorrente tra legge delega e decreto legislativo delegato, non sembra possa dubitarsi che il legislatore delegato sia incorso in un eccesso di delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost., dal momento che, a fronte di una cornice di principi e criteri direttivi riferita ad un oggetto definito e ben delimitato, trasparente dall'art. 7 della legge n. 246 del 2005 (rivolto alla regolamentazione dell'istituto della sospensione della prescrizione in correlazione con la pendenza del procedimento penale e alla revisione della recidiva), ha stabilito - nei primi due commi dell'art. 146 della c.d. legge notarile riformato - una nuova disciplina che, pur attenendo all'istituto della prescrizione (anteriormente riferito all'azione disciplinare ed ora correlato propriamente all'illecito disciplinare), ha involto la regolamentazione dell'aspetto della sua interruzione (al comma 2), prima del tutto assente nella predetta legge (e ritenuto assolutamente inoperativo in tale materia dalla consolidata giurisprudenza), con la ulteriore previsione dell'allungamento a cinque anni del relativo termine prescrizionale (al comma 1). In tal senso si reputa che con l'art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006 il Governo delegato abbia violato i principi e criteri direttivi e superato il limite oggettivo presenti nella delega, coinvolgendo altre situazioni che, sia pur connesse, hanno determinato un illegittimo esercizio del potere legislativo discrezionale, siccome svincolato, appunto, dai rigidi criteri direttivi predeterminati dalla legge delega, essendo indubbia la diversa natura e la differente efficacia tra gli istituti della sospensione e della interruzione della prescrizione, i quali non presentano alcun rapporto di progressivita' (cfr. Cass. n. 6901 del 2003 e Cass. 10254 del 2002). Del resto, se e' pur vero che i criteri direttivi della legge delega vanno valutati, al fine di verificare se la norma delegata sia ad essi rispondente, anche alla luce delle finalita' ispiratrici della delega stessa (cfr., ad es., Corte cost. n. 285 del 2006), non puo' dirsi che, nella specie, il legislatore delegato si sia mosso nel solco di tali scopi, poiche' campo della sua azione normativa era stato oggettivamente limitato ad armonizzare solo istituto della sospensione con l'eventualita' della contemporanea pendenza del procedimento penale relativo allo stesso fatto rilevante anche come illecito disciplinare, in consonanza con gli effetti (percio' recepiti a livello normativo) discendenti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 1990, in presenza di un contesto complessivo normativo precedente che, nella materia disciplinare notarile, non aveva mai visto regolamentata anche l'interruzione della prescrizione (v., per la rilevanza della legislazione precedente a tal proposito, Corte cost. n. 3 del 1957; Corte cost. n. 31 del 1967; Corte cost. n. 135 del 1967 e Corte cost. n. 28 del 1970). In tal senso, quindi, con il d.lgs. n. 249 del 2006 si e' proceduto alla previsione di un trattamento normativo peggiorativo nella suddetta materia per la categoria notarile in assenza di un esplicito ed inequivoco riferimento nella legge delega (per recenti esempi di ritenuta sussistenza dell'eccesso di delega cfr. Corte cost. n. 503 del 2000; Corte cost. n. 212 del 2003 e Corte cost. n. 71 del 2008). Del resto e' risaputo che tra norma delegata e norma delegante si instaura un «naturale rapporto di riempimento» (v., ad es., Corte cost. n. 308 del 2002 e Corte cost, n. 426 del 2006) ma tale relazione implica che il legislatore delegato debba adottare norme che, in ogni caso, rappresentano un coerente sviluppo della scelta espressa dal legislatore delegante e delle ragioni ad essa sottese, senza, percio', poter pervenire a regolamentare istituti completamente nuovi che, ancorche' connessi con quelli presenti nella legge delega, involgono l'applicabilita' di una disciplina del tutto diversa e basata su presupposti differenti (in un ambito di riassetto ordinamentale riferito, nel caso di specie, a quello del notariato), come tale da considerarsi completamente innovativa, anche in funzione del rispetto del limite di ragionevolezza implicato dai criteri e principi direttivi e dalla delimitazione dell'oggetto trasparenti dalla medesima legge delega. Alla stregua delle riportate argomentazioni il collegio ritiene che la prospettata questione di costituzionalita' involgente l'art. 146, commi 1 e 2, della legge n. 89 del 1913, come sostituito dall'art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, in relazione all'art. 76 Cost. non sia manifestamente infondata in ordine al ravvisato eccesso di delega da parte del legislatore delegato, con riferimento ai principi e criteri direttivi definiti nell'art. 7 della legge delega 28 novembre 2005, n. 246, con particolare riferimento alla disposizione di cui al comma 1, lett. e), n. 3, riguardante la revisione dell'ordinamento disciplinare notarile mediante la «previsione della sospensione della prescrizione in caso di procedimento penale», che lo vincolavano, percio', a legiferare entro questi ristretti limiti, senza il conferimento di un potere normativo delegato che potesse estendersi fino alla individuazione, in via generale, di una nuova disciplina dell'interruzione della prescrizione e dell'allungamento del termine della prescrizione stessa. La questione di legittimita' costituzionale e' anche rilevante nel giudizio in questione dal momento che, ricadendo l'illecito disciplinare per il quale il ricorrente e' stato sanzionato nell'ambito temporale di applicabilita' del nuovo art. 146 della legge n. 89 del 1913 (essendo stato riportato in atti come commesso il 10 luglio 2007), l'eventuale declaratoria di incostituzionalita' dei primi due commi dello stesso art. 146, come riformato con l'art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, comporterebbe, non applicandosi ipotesi interruttive e non tenendosi conto dell'allungamento del termine prescrizionale a cinque anni, che l'infrazione disciplinare (in virtu' della reviviscenza del precedente disposto dell'art. 146 della legge n. 89 del 1913, il quale prevedeva la durata della prescrizione in quattro anni senza contemplare ipotesi interruttive) si sarebbe gia' prescritta al 10 luglio 2011, con la conseguenza che, nella presente sede di legittimita', dovrebbe pervenirsi (secondo la costante giurisprudenza di questa Corte) alla declaratoria di improcedibilita' dell'azione disciplinare a carico del dott. Toppino. Pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, bisogna disporre l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con la conseguente sospensione del presente giudizio e l'assolvimento degli adempimenti notificatori e di comunicazione prescritti dal comma 4 del citato art. 23.